Interviste

Verso una prospettiva inglobante ( Intervista di Francesca Beltrami ad AnnaLaura Longo  )                                                                                                                                                                                                                                                                 

Un dettaglio da Ippocampo

Già da qualche anno sei impegnata in un percorso artistico incrociato, che comporta un’effettiva valorizzazione e rivalutazione dei passi. Questo argomento lo stai affrontando da più angolazioni: anzitutto sul profilo performativo, mediante un tuo coinvolgimento artistico diretto, in secondo luogo dal punto di vista installativo (attraverso la creazione di opere e impianti visuali compositi, arricchiti da ricerche sonore) e infine mediante esperienze laboratoriali. Parlaci di questi tre filoni di ricerca.

Il mio principale contributo in relazione alla costruzione di una sorta di apologia e densificazione dei passi si è esplicitato attraverso la configurazione di un’installazione ambientale che può avere – a seconda degli spazi volta per volta messi a disposizione – un carattere imponente o al contrario raccolto. Questa installazione è caratterizzata da un dispiegamento di calzari (quasi un centinaio di paia), che ho deciso di creare gradatamente nel corso di svariati anni attraverso la combustione e la messa in forma di grandi quantitativi di pane. Un lavoro che porta idealmente alla ribalta dei potenziali “passi esistenziali” compiuti da popoli o interi gruppi sociali: donne, bambini e uomini costretti ad affrontare fatiche o ostacoli a causa di guerre, calamità, femminicidi o ancora reduci da esodi e fughe. Il riferimento è purtroppo particolarmente attuale e toccante. Il pane bruciato, esempio residuale di attriti o tensioni affiorate tra individui, etnie o più in generale tra forze contrapposte, genera una particolare e decisa implicazione sul piano visuale e restituisce evidentemente una drammaticità per quanto concerne l’aspetto sensoriale. L’installazione è già stata presentata in forma parziale in alcuni contesti romani come l’Ospedale Santa Maria della Pietà, lo spazio MICRO della Libreria Lo Yeti, Centrale Praeneste (Teatro per le nuove generazioni) e, in forma più estesa, in una delle sale espositive della Casa Internazionale delle Donne. Il tutto si accompagna a una tessitura sonora apposita, in cui i suoni pianistici sono stati da me paragonati a respiri, che lasciano a loro volta trapelare sensazioni umane. Un resoconto di questa specifica esperienza con risvolti anche musicali è presente in uno dei capitoli del mio libro-catalogo Viaggio nell’entroterra [Moviment-azioni pianistiche]. Il titolo della performance vera e propria è invece Lembi di germinazione, nel corso della quale unitamente a letture poetiche offro ai partecipanti, in vassoi o in appositi distributori, del pane fresco simbolo di speranza, sopravvivenza e riappropriazione di vita. I calzari si fanno portatori quindi di una possibile e potente trasfigurazione, inscindibile dal panorama dell’esistenza.

Ci tengo a evidenziare come la valorizzazione dei passi avvenga in questo caso attraverso l’impiego di una vera e propria sineddoche, che prevede l’uso della calzatura in luogo del piede umano, adibito al camminamento. Il tutto comporta delle necessarie sottolineature poetiche e induce a fare i conti con quelli che sono i nostri cardini quotidiani: cibo e sopravvivenza.

Sul piano della scrittura – contemporaneamente ai percorsi appena descritti, che mi vedono direttamente coinvolta dal punto di vista visuale, performativo e sonoro – sto lavorando alla stesura di un testo dove provvedo a dare una sistematizzazione ai tanti interventi performativi , più o meno celebri, portati avanti da artisti e artiste della contemporaneità, che fanno leva per l’appunto sui passi, con risultati estremamente disparati e variamente coinvolgenti.

Lo spunto è arrivato da una visita avvenuta alcuni anni fa nel Centre Pompidou di Parigi: è lì che ho avuto modo di rapportarmi con un video (Performance Still), ormai divenuto celebre, dell’artista libanese Mona Hatoum, che si incarica di percorrere lunghi tratti di strada a piedi nudi, trasportando e trascinando a terra i suoi anfibi allacciati alle caviglie ( non propriamente indossati ma, invece, trasportati  e trattenuti esternamente rispetto al piede ). La tematica dell’abbandono, dell’esilio, dei confini vissuti e drammaticamente esperiti o interdetti, viene fortemente a galla. L’impatto è stato davvero molto emozionante, sicché ho deciso di intraprendere ulteriori riflessioni e investigazioni su percorsi affini.

La mia ricerca si sta basando su una tripartizione. Anzitutto sto concentrandomi su opere e performance in cui l’artista compie i passi in prima persona. Musicalmente potrei citare il brano di Luigi Nono La lontananza nostalgica utopica futura, madrigale per più “caminantes “, per violino e otto tracce su nastro, dove al violinista o alla violinista che ne sia interprete è richiesto, durante l’ esecuzione, di spostarsi tra diversi leggii: gli spostamenti non sono affatto lineari o precostituiti, in ogni caso quei passi divengono parte integrante del discorso. Anche Francis Alys, artista di origine belga, ma residente in Messico, può considerarsi un egregio attivatore di emozioni grazie ai suoi tragitti performativi compiuti su grandi distanze.

Il secondo approfondimento di mio interesse sta riguardando invece opere o situazioni performative in cui i visitatori e le visitatrici di musei o gallerie sono invitati/e a rivestire un ruolo partecipativo attraverso i passi. Ho assistito ad esempio,nella fondazione Merz di Torino, alla mostra di Alfredo Jarr intitolata Abbiamo amato tanto la rivoluzione. Il primo ambiente prevedeva un’immensa installazione, con milioni di pezzi di vetro sul pavimento (un mare di vetri) da percorrere camminando. Un vero spazio di memoria con cui fare i conti.

Ma, tra le tante, potrebbe essere citata anche l’installazione di Alfredo Pirri I passi, caratterizzata da una miriade di specchi infranti e ridotti in pezzi proprio in virtù del passaggio e del coinvolgimento dei partecipanti .

È poi opportuno ricordare come gli strumenti stessi possano talvolta essere attivati e spinti a muoversi nello spazio, spesso a prescindere dalla presenza umana. In quest’ultimo caso si verificano più che altro delle approssimazioni di passi, quasi delle similitudini.

Sarà utile menzionare l’installazione Perturbations, che Céleste Boursier- Mougenot ha portato a Tolosa diversi anni fa, nel Musée Les Abattoirs,  e nella quale dei pianoforti robotizzati venivano lasciati muovere nell’ambiente messo a disposizione, con momenti di incrocio e di vero e proprio urto reciproco.

Tutt’altra altra cosa sono invece i camminamenti previsti all’interno di spettacoli itineranti. E gli studi su pratiche di camminamento di stampo meditativo, che si pongono in stretta relazione con alcuni procedimenti mentali.

L’ultimo filone di ricerca grazie a cui stai portando a maturazione il concetto dei passi concerne il campo della formazione, cosa puoi raccontarci?

Si tratta fondamentalmente di tragitti di formazione estetica e musicale ad ampio raggio. A questo proposito invito a leggere un mio recente articolo pubblicato nel sito www.traccedistudio.it e intitolato Flussi movimentati su Ogives di Erik Satie -Uno sfondo di tipo mnemonico-corporeo ( . Lo scopo qui è ancora diverso: ci si propone infatti, attraverso i passi, di portare a termine un’interiorizzazione di schemi ritmici e musicali in stretta correlazione con musiche più o meno note, da attraversare e introiettare.

È affascinante vivere gli aspetti teorici e soprattutto ritmici da un punto di vista fisico e potenziare così l’ascolto portando a galla quella che io chiamo la rigogliosità corporea. Non si stratta quindi di camminamenti casuali, ma al contrario fedelmente aderenti ai pattern estrapolabili dalle musiche prescelte. I passi a cui mi riferisco sono infatti organizzati in sequenze apposite (quasi forme pre-danzate), dove le durate risultano essere puntuali e circostanziate e, come già detto, in attinenza con gli spartiti di riferimento, quindi avendo come base un supporto notazionale vero e proprio. Per questi tragitti esperienziali ho in pratica dovuto elaborare delle partiture corporee molto dettagliate, memorizzabili e soprattutto riproducibili, che possano volta per volta svilupparsi e aver luogo sulla base dell’ascolto delle musiche in questione oppure sul silenzio attraverso una rievocazione mentale delle musiche stesse. Per l’impostazione di queste particolari partiture corporee (che riguardano gli arti inferiori, ma ne ho elaborate diverse che interessano anche il corpo nella sua interezza) ho privilegiato alcuni brani di E.Satie, O.Messiaen, G.Scelsi. Una piccola sezione di questo lavoro sperimentale prevede invece un’attualizzazione (e una trasposizione e trascrizione corporea) di alcuni Canoni di K.M. Kunz. Si tratta di un progetto pensato per strumentisti e strumentiste che abbiano interesse a impostare una visione integrata e sensorialmente arricchente. Ho constatato come, di fatto, pervenire allo studio effettivo dei brani dopo aver effettuato un lungo e profondo lavoro preparatorio corporeo, comporti delle interessanti conseguenze sul piano interpretativo e inoltre diversi vantaggi per quanto concerne la memorizzazione sia a breve che a lungo termine. Anche nelle mie personali sessioni di lavoro pianistico o di impostazione di azioni performative faccio sempre più ricorso a tali procedure e ne vado constatando i benefici.  Il riferimento agli scritti e ai principi di Dalcroze è in parte sotteso, ma la mia prospettiva prende tuttavia delle direzioni decisamente autonome. L’uso del corpo e del movimento era stato precedentemente l’oggetto di alcuni miei articoli apparsi su Musicheria (Rivista di educazione al Suono e alla musica) il cui sito di riferimento è www.musicheria.net

Tutti questi studi e approfondimenti   mi stanno particolarmente a cuore e confluiranno ben presto in un volume in preparazione che si intitolerà Ramificazioni (per un approccio dinamico-estensivo). Mi piace in sostanza pensare a una prospettiva fortemente inglobante, che possa passare attraverso attivazioni sottili, evidentemente proficue.

Il tuo studio-atelier è una piccola fucina dove di tanto in tanto vengono proposti incontri o presentati lavori in anteprima. Cosa c’è in programma attualmente?

Sto programmando di far conoscere in anteprima un esemplare dei miei nuovi libri volumetrici-oscuri, che sono frutto di veri e propri studi di tipo monocromatico. Dopo alcuni anni di infatuazione per le gradazioni del bianco sto avventurandomi nelle suggestioni del nero. Lo scopo è quello di restituire un’oscurità ricca di sfaccettature, con impronte di onirismo, di possibile eleganza e corposità. Dal mio punto di vista l’oscurità può essere di gran lunga seducente e persino ”delucidante”. Uso il termine volumetrico in quanto sono presenti in queste opere diversi elementi fortemente in rilievo che accentuano le possibilità di fruizione di tipo tattile. Il mio impegno va verso la costruzione di appositi ispessimenti a ridosso delle pagine: si tratta nello specifico di incorporare veri inserti materici e stratificazioni, che conferiscono una tridimensionalità effettiva e un valore in termini di presenza. I materiali sono extra -cartacei e molto disparati: gomme, feltro, tessuti, elastici, pelle, ecopelle, frammenti legnosi e spesso amorfi. Le pagine in vari casi possono inoltre essere estrapolate e avere un’esposizione a mo’ di quadro.   

Viene indagata in questo progetto anche la preziosità della segretezza. Si tiene segreto spesso ciò che abbiamo di molto prezioso, compresa la nostra vita interiore. Anche in natura nella terra è tenuto nascosto il seme. Il sottosuolo è ricco di vita. Questo libro volumetrico- oscuro sarà per l’appunto un elogio del substrato, del sottosuolo. Purtroppo nell’immaginario è presente una visione estremamente riduttiva della bellezza dell’oscurità e delle sue risorse. Le dimensioni sono da me esplorate da più angolazioni: attualmente sono concentrata nel dare impulso al grande formato.  Tornando alla domanda segnalo quindi che nel mio studio in Roma, nella giornata mondiale del Libro e del diritto d’ autore, fissata per il 23 aprile, sarà coinvolto un piccolo numero di spettatori e spettatrici e darò modo di assaporare questo lavoro.  Si tratterà proprio di una degustazione di forme e colorazioni. Tuttavia quest’opera dall’estate in poi inizierà a viaggiare e ad essere ospitata in alcuni musei, biblioteche e spazi polifunzionali a livello internazionale. Quindi non mancherà di certo l’occasione di farla conoscere a un pubblico più vasto e soprattutto eterogeneo. La giornata di porte aperte avrà un valore essenzialmente propulsivo, più che altro per offrire un primo imput di energia.

Nei lavori interamente basati sul bianco ti sei ispirata alla danza contemporanea, al gesto coreografico. Il movimento e il gesto tornano quindi a galla e affiorano, anche in questo caso, tue ricerche sulle relazioni esistenti tra suoni, forme, volumi e movimento.

Si può provare a guardare al movimento come a un’ attestazione di esistenza. Ho recentemente usato questa espressione in un articolo che riguarda le vicende coreografiche di Lia Rodrigues. Chi vorrà potrà leggere il tutto su

www.larecherche.it( Un’attestazione di esistenza nelle apparizioni corporali di Lia Rodrigues/sezione Articoli danza ). Nei lavori basati sul bianco ho cercato in sostanza di raccogliere una buona parte delle mie suggestioni maturate in riferimento alla concezione dello spazio, in particolare sono interessata alla “vibrazione” dello spazio attraverso l’immissione di dinamiche gestuali e corporee. E così servendomi di costruzioni vagamente figurali o nettamente anti-figurali, vado ad attivare dal punto di vista visivo delle energie collegate con le seguenti azioni: evoluzioni, rotazioni o stabilizzazioni, inarcamenti o scioglimenti articolari e corporei, avanzamenti o arresti, che rimandano per l’appunto a flussi danzanti. Risulta attutito e quasi annullato il contrasto tra sfondo e affioramento di immagini o linee-immagini. Infatti queste opere si basano su un effetto “Ton sur Ton” e promulgano un mio personale elogio dell’intravedere. Il vedere distintamente farebbe perdere alcune sfumature sul piano della gradualità di scoperta.  La musica da me elaborata per accompagnare questo lavoro si intitola Dentro fuochi ammutoliti da caotiche distanze ed è rintracciabile sul canale you tube. Tutti i progetti visuali ed espositivi hanno infatti un riscontro parallelo sul piano sonoro. Sono procedimenti assolutamente combinati. Le riflessioni e le scritture sulla danza sono invece iniziate molto prima, in particolare in occasione della stesura del volume Apparati di suoni metodicamente cruciali (La città e le stelle), che risale all’anno 2013 : in questo libro di argomento prettamente musicale avevo già inserito un breve capitolo intitolato Linee di tangenza e ampliamenti della riflessione (Nuovi assetti nella danza e nel gesto). Nelle mie raccolte poetiche sono inoltre presenti diversi componimenti dedicati alla gestione del tempo e alla magia del risveglio rilevabili nel corpo danzante, il tutto a partire da Plasma/ Sottomultipli del tema “Ricordo” (Fermenti). Mi affascina la possibilità di attraversare una spaziosità disciplinare, libera e dissetante.

Cosa sono i tuoi Corollari intrepidi?

Sono scritture sperimentali che andranno a formare una sezione a sé stante all’interno della raccolta Declinazioni del timbro, che è in fase di completamento. In questi brevi testi (o parabole poetiche) cerco di immettere un senso di rincorsa interna, lavorando sul ritmo e sulla comparsa istantanea di flash di immagini. Le definisco poesie cinetiche. Alcuni di questi testi inediti sono apparsi nel Quotidiano di scritture Il cucchiaio nell’orecchio (www.ilcucchiaionellorecchio.it). Già nella precedente raccolta intitolata Nuove rapide scosse retiniche (Joker) avevo iniziato a lavorare in questa direzione.

 Prosegue il tuo itinerario tra sguardi e visioni

Lo sguardo che coltivo e che provo a forgiare è uno sguardo ri-modellante, che sappia catturare la polivalenza dei messaggi che scaturiscono dalle esperienze quotidiane affinché possano risuonare e trasformarsi in fatti artistici veri e propri. Mi interessa l’ingresso in una temporalità allargata, al confine con la sospensione, dove tuttavia possano essere compresenti e quasi compressi alcuni aspetti di carattere opposto: acutezza nella visione (e nella comprensione) in compresenza con una sorta di diluizione della realtà, intensità delle esperienze di pari passo con una vaporizzazione magica degli istanti.  La vulnerabilità del mondo, in ogni caso, sembra darci in quest’epoca dei segnali a dir poco inconfondibili. Sempre più arrivano prove di come a livello globale o personale si possa esser toccati da tensioni e da una certa dose di disamore (per usare un eufemismo). Assistiamo in questi giorni di guerra a un drastico abbandono di terre, per motivi di fatto ingiustificabili e inaccettabili. Non mi dispiace quindi pensare che possano rientrare nei nostri spazi di conoscenza nuovi strati di dolcezza da esplorare. Nutro un certo timore per una visione imprenditoriale delle esistenze. È impossibile in questa fase non esprimere un desiderio di pacificazione tra generazioni e popoli.

Quali nuove infatuazioni cromatiche si muovono all’orizzonte?

Il prossimo lavoro sarà all’insegna del rosso e si intitolerà Ippocampo. Un’indagine sulle relazioni esistenti tra i due emisferi cerebrali che, da quanto sappiamo, necessitano di una continua integrazione per pervenire a risultati interessanti e tali da liberare una certa completezza. A presto dunque con nuovi resoconti e vibrazioni.

Marzo 2022

La conversazione ha avuto luogo al termine di una prova aperta organizzata presso lo studio- atelier Territorio di stimolazione sonora.

Si riporta di seguito un’ intervista di Giacomo Rinaldi apparsa nella giornata del 3 gennaio 2022 su agenziastampa.net

Sezione Arte e Culture

Una permeabilità tra artista e pubblico – In conversazione con Anna Laura Longo ( secondo incontro)

03/01/2022

Ci eravamo ripromessi di tornare a sentirci dopo l’incontro del mese di settembre 2021, per fornire utili segnalazioni sul tuo lavoro e descrivere ulteriori percorsi recenti. Sta proseguendo in questo periodo la promozione del volume intitolato Viaggio nell’entroterra [moviment-azioni pianistiche], che si presenta come un elegante compendio caratterizzato da ricche testimonianze di azioni performative e sonore, per le quali hai coniato la dicitura “pianoforti eterocliti”. Vorrei ce ne parlassi.

Le pagine di Viaggio nell’entroterra [moviment-azioni pianistiche] descrivono ampiamente il mio desiderio di lavorare -con permeabilità- all’interno di territori artistici e musicali espandibili, in grado di privilegiare la sottigliezza della dimensione temporale e il concetto di dirompenza viva del sogno.  Il tutto conduce verso una sottolineatura della trasversalità dell’azione, dal punto di vista artistico e performativo. La permeabilità a cui mi riferisco interessa dapprima il rapporto con lo strumento e, conseguentemente, quello con i possibili ascoltatori e fruitori.

In senso letterale si dicono eterocliti quei nomi, verbi o aggettivi che si flettono con più temi o radici. Nel mio caso voleva esser presente dunque una chiara allusione a strumenti musicali agiti o da agire nel segno della versatilità e della variabilità, in una prospettiva complessa di mutazione. Un pianoforte è anzitutto un luogo di forze sommerse (magneticamente raccolte o ambiguamente disperse). L’attingibilità di tali forze e risorse si ritrova ad essere in stretta connessione con la nostra capacità di sguardo. Dal mio punto di vista ho voluto pertanto posare sullo strumento uno sguardo animato da una certa “spaziosità”, per rendere possibili diversi spunti generativi, affinché potesse dischiudersi una certa dose di intraprendenza poetica.

Oltre a ciò è presente, sul piano ideativo e operativo, un particolare approfondimento del principio di commutazione. In elettrotecnica la commutazione è un’inversione dei collegamenti di un circuito con le sorgenti di tensione oppure un passaggio da una disposizione di circuiti a un’altra. Ebbene questi spunti di tipo commutativo hanno interessato propriamente i miei processi mentali ed elaborativi, conducendo di fatto a risultati teorici, tecnici e performativi alquanto inusitati. Sono cinque, nella fattispecie, le elaborazioni da me offerte, che compongono i relativi capitoli su cui ciascun lettore o lettrice potrà gradatamente soffermarsi.

E così abbiamo ricerche su pianoforti abissali ed esperienze su pianoforti piantagioni. Lavori che definisco Scritture trasformiste accanto a studi su pianoforti volumetrici-sculturali e, infine, esplorazioni su pianoforti coltellati. Tutti questi approcci vanno a comporre un amalgama estetico multisfaccettato, frutto di una coordinazione funzionale tra idee, gesti e risultanze sonore vere e proprie. Da un punto di vista fattivo da tali ricerche sono scaturite musiche striate, vicine al fascino del catrame o di contro animate da una particolare dose di raccoglimento, con intensificazioni e riscoperte del vuoto (di stampo meditativo-silente). Del resto per me suonare e attivarsi musicalmente vuol dire, pur sempre, soggiornare piacevolmente “a ridosso” della tipicità di un ambiente- strumento, con l’idea di forgiare volta per volta un episodio inedito.

Il tutto porta a immergersi in un’avventura di sistole ed extra-sistole del cuore ma anche della mente, nel tentativo di liberare una qualche forma di significatività e vicendevolezza. Proprio in questi giorni mi è capitato di ritrovarmi a leggere un vecchio numero della rivista svizzera Dissonance, in cui Antonin Servière, sassofonista e compositore, torna più volte a soffermarsi sul termine plenitude. Ecco, questa pienezza è una meta perseguibile. Una pienezza che vada, per l’appunto, verso una sincera permeabilità, per utili compenetrazioni con il pubblico.

Partiamo anzitutto dai pianoforti abissali a cui hai dedicato uno dei capitoli. Descrivicene le peculiarità.

Propongo anzitutto un’interessante citazione di Anton Webern, il quale scrive: “Appunto questo: imparare a vedere abissi là dove sono luoghi comuni. E questo sarebbe il riscatto: l’impegno spirituale”. Nei pianoforti abissali il mio intento è stato proprio quello di procedere abbracciando una forma reale di inabissamento. Il riferimento non è soltanto di tipo pragmatico-musicale ma è legato al piano simbolico dell’esistenza. Nelle pagine del libro vibrano quindi molteplici riferimenti a ideali processi introspettivi: il pianoforte, in tal senso, è stato da me trasformato in un vero e proprio mezzo utile a depositare significazioni – e condensazioni di pensieri- legate a questo tema.

Un pianoforte dunque investito di procedimenti commutativi, come già accennavo. La creazione di minuscole cellule abitative interne al pianoforte ( pseudo- cellule in verità), mi ha consentito di mettere in moto un chiaro riferimento al tema della progettazione architettonica, avendo in mente diversi spunti appartenenti all’epoca moderna e contemporanea. Attraverso lo smontaggio parziale e il rimontaggio di alcune parti strutturali ho costruito infatti delle micro-unità abitative – quasi abitacoli –all’interno dello strumento e forgiato suoni agendo in tale contesto, per poi mettere in risalto anche i paesaggi visivi scaturiti dalla nuova conformazione data allo strumento, restituiti in forma installativa e- nelle pagine del libro- attraverso documentazioni fotografiche. Ma non è tutto.

Ci tengo a ricordare anche che, in questo volume, galleggiano continuamente delle vere e proprie costruzioni metaforiche, che agiscono sul piano simbolico. Da questo punto di vista ho avuto accanto ai miei tragitti le ipotesi e le parole intense di Ernst Cassirer, racchiuse nel saggio Linguaggio e mito, dove si mostra quanto sia stretto l’intreccio tra il pensiero mitico e quello linguistico: viene cioè evidenziata una comune natura o radice.  Scrive il filosofo tedesco:” la metafora è una trasposizione, entrambi i contenuti tra i quali essa si muove, stanno fissi come significati in sé determinati e indipendenti, e tra di essi, come termini di partenza e di arrivo, ha luogo il movimento della rappresentazione, movimento che porta a passare dall’uno all’altro e a sostituire, nell’espressione, l’uno all’altro”.  A partire da questi presupposti viene sviluppata una riflessione su un possibile sentire mitico. Ecco un ulteriore passaggio: “anche la più semplice figura mitica sorge mediante una trasformazione che sottrae una determinata impressione alla sfera del consueto, del quotidiano, del profano, per sospingerla in quella del «sacro», del significativo”. I miei pianoforti, sulla scorta di tali agganci, possono esser definiti per l’appunto meccanismi e dispositivi metaforici. Ed è vigente, per l’appunto, un’intenzione di trasposizione. Per me è stato affascinante pormi in una prospettiva di approccio differente, agevolando quasi una deviazione, in vista di una restituzione il più possibile originale e libera.

Spostiamo quindi l’attenzione sui Pianoforti-piantagioni, dove invece hai voluto esplicitare un legame con la disciplina della botanica, arrivando a costruire traiettorie pianistiche servendoti non delle corde, ma di alcune parti metalliche.

Nei pianoforti- piantagioni ho sviluppato degli accadimenti pianistici situandomi nelle zone recondite dello strumento, trasformato a tutti gli effetti in un inedito germogliatore o, ancor meglio, in un’atipica piantagione pronta a restituire segnali proliferanti e liberi di vita. Lo spunto è stato quello di operare con una mano “prensile” e con un atteggiamento vicino a quello della mano intenta ad esplicitare operazioni nel campo della botanica o dell’agricoltura. Nel volume di poesie Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo (Oèdipus) avevo già iniziato, da un punto di vista poetico, a far leva sul concetto di  rivoltamento delle zolle per una possibile aerazione del suolo. Anche in questo caso torna l’idea di un terreno, non statico, ma al contrario fatto oggetto di proficui interventi esterni: il pianoforte quindi si trasforma in terreno e lo è, d’altra parte, la nostra lineare o – per lo più composita-esistenza.

Parlaci ora delle Scritture trasformiste.

Anche nelle Scritture trasformiste viene agevolata un’emozione di sorpresa e di lieve sobbalzo. Mi piace parlare di una “poetica del trasalimento”: In effetti, come in un’operazione chirurgica vera e propria, mi sono ritrovata a prelevare gruppi di tasti dal pianoforte per utilizzarli da un punto di vista musicale, per poi dare forma a pannelli di grande formato. Su tali pannelli campeggiano per l’appunto delle scritture, delle vistose parole-annunci, determinate da una disposizione dei tasti stessi sul supporto in questione. In primavera conto di presentare questo allestimento. Spero vivamente che il pubblico possa ritrovare in tutti questi approcci artistici ed esperienziali una vitalità e una spinta emozionale.

E arriviamo infine ai pianoforti coltellati, che possono essere posti accanto a quelli “volumetrici e sculturali”.

Nei pianoforti coltellati si dischiude e si fa strada una drammatizzazione dello strumento. L’utensile, in questo caso il coltello, è stato visto come una protesi e un degno ausilio per poter elaborare delle musiche da una parte ma, dall’altra, degli impianti scenici peculiari. In questo caso lo strumento è stato dunque assimilato a un vero e proprio fabbricato e inoltre a un sistema produttivo, sulla base di riferimenti all’urbanistica. Tutte queste formulazioni non sono altro che il risultato di un nuovo approccio, per un possibile, e soprattutto rigenerato, atto conoscitivo. Per quanto concerne la creazione di   pianoforti volumetrici-sculturali infine ho impiegato oggetti auto-costruiti, in ferro, da inserire in vario modo nella tastiera, in modo tale da enfatizzare alcune risonanze e suoni armonici, insistendo sul concetto di prolungamento del suono. Il tema dell’antropizzazione è stato in questo caso saliente. La tastiera, vista come luogo antropizzato in virtù della presenza di oggetti paragonabili a residui di vestimenti umani, ha voluto rimandare visivamente e concettualmente alla presenza dell’uomo e alle sue leggi di occupazione del suolo. Tutti i lavori fin qui descritti potranno essere considerati, in sostanza, della “Trame estetiche”, delle vicissitudini dotate di ingranaggi interni da cogliere e scoprire.

È il momento di una riflessione conclusiva.

La mia riflessione conclusiva vuole essere un invito a muoversi agevolmente tra reminiscenza e lealtà costruttiva, incuneandosi nel tempo con una mobilità del pensiero che vada di pari passo con una sensibile visione o esperienza percettiva. Il mio è un progetto di apertura verso una concezione e una prassi strumentale peculiare ma, soprattutto, è una scelta di collocarsi sulla soglia del possibile, nel segno di uno scavalcamento

Parlando di riconoscimento, nascondimento e dinamizzazione degli istanti

Intervista ad Anna Laura Longo a cura di Giacomo Rinaldi ( primo incontro)

16/09/2021

Hai dedicato alcuni studi recenti al tema del riconoscimento, pubblicando in merito riflessioni e testimonianze dirette. Da dove è sorta l’attenzione per questo argomento?

Il mio interesse è stato rivolto, in particolare, all’eterogeneità e variabilità nell’esperienza di riconoscimento uditivo, con successive ipotesi di allargamento di campo e di confronto per un’attivazione e sovrapposizione di sfere sensoriali diverse. Ho voluto creare nella fattispecie un percorso di ricerche stratificate con l’intento di costruire una micro-territorialità vera e propria intorno all’argomento, quasi una cartografia. Il processo di riqualificazione del meccanismo di riconoscimento si è esplicitato attraverso una diversità di esperienze e dunque di narrazioni-scritture. Il tutto ha trovato un sostanziale appoggio nella ricchezza della quotidianità. Ho portato avanti il lavoro anzitutto a livello personale ma anche conducendo incontri laboratoriali sperimentali. Recuperando forme effettive di risveglio sensoriale. Sin dall’inizio è apparso interessante non limitarsi a ri-conoscere in forma fine a se stessa, ma dimostrarsi capaci di osservare se stessi nell’atto di compiere il riconoscimento. Per arrivare a ciò è stato necessario creare una moltiplicazione di “sorveglianze” aderendo proprio al tessuto del quotidiano, allontanandosi da forme di abitudinarietà e di distrazione rispetto agli stimoli provenienti dalla realtà esterna. E così a partire da episodi di riconoscimento musicale generico la ricerca si è fatta via via più selettiva e circostanziata tenendo conto, ad esempio, dell’impatto emotivo e della diversità degli ambienti di ascolto (interni o esterni), delle sorgenti sonore o della posizione assunta (statica o deambulatoria). Solitamente il discorso del riconoscimento viene impostato seguendo un punto di vista meramente psicologico, si tratta in effetti di un procedimento attuato proprio dalla psiche, ma addentrandosi nell’argomento ci si potrà facilmente rendere conto di come si dischiuda una gamma davvero ampia di ramificazioni possibili. Il mio intento, sin dall’inizio, è stato quello di trasformare questa tematica in un terreno di indagine e in una strada da percorrere per l’azionamento di possibili pratiche artistiche. Lo spunto è arrivato dalla lettura di alcuni stralci di pagine di Glenn Gould, nelle quali il pianista canadese racconta di come, viaggiando in auto e ascoltando programmi radiofonici, si sia ritrovato involontariamente immesso all’interno di pratiche di auto-riconoscimento e di come ne sia scaturito un curioso e imprevedibile rilevamento di caratteristiche interpretative, legate all’uso personale dello strumento. Il discorso da me portato avanti ha trovato naturalmente un’estensione, attraverso espansioni e intrecci, e mi ha condotta a modulare episodi continuativi e soprattutto documentabili di riconoscimento e di auto-riconoscimento, anche vocale, attraverso registrazioni, comparazioni e ricostruzioni di vario tipo. L’esperimento ha iniziato così ad assumere una buona delineazione con ulteriori operazioni di approfondimento, suffragate da esplorazioni e perlustrazioni legate al riconoscimento (casuale o indotto) dei volti, dei sapori e degli odori mediante sopralluoghi e costruzioni di itinerari appositi, con conseguenti rilevamenti dettagliati. Il discorso nell’insieme ha comportato riflessioni inerenti la possibilità di costruzione di un tempo quotidiano diversamente scandito e soprattutto internamente scandito, quindi di per sé distinto e degno di essere rilevato. Infatti “interrogare” il riconoscimento ha significato intervenire sulla qualità e dinamizzazione di ciascun istante. Nei miei scritti imperniati su questa tematica non mancano riferimenti a suggestioni letterarie, con citazioni che coinvolgono autori come M. Proust e J.L. Borges, fra gli altri. Non sono mancate digressioni nel campo della teatralità (e della teatralizzazione più in generale). Ho poi desiderato aggiungere sezioni di approfondimento inerenti le arti figurative, soprattutto la pittura, per i suoi evidenti addentellati con la ritrattistica e, infine, connessioni con la fotografia. Invito i lettori e le lettrici a immergersi tra le pagine della rivista Musica Domani (n.184) dove si ritrovano alcuni parziali resoconti di questo variegato itinerario in cui il riconoscimento è stato visto come perturbazione ma altresì come avventura. L’esperimento è stato portato avanti per un periodo di tempo abbastanza esteso e tale da consentire un accumulo di ricognizioni possibili e di materiale adeguato.

Spostiamo ora l’attenzione su un altro tema interessante, quello del nascondimento, su cui hai iniziato a impostare un lavoro proprio in questo frangente di tempo….

Trame e stanze del nascondimento è un lavoro in fase di costruzione, che va considerato a tutti gli effetti come una prosecuzione del precedente In un singolo punto nodoso, dove si ritrovano studi sulla curvatura della linea del verso. Cerco in tal modo di generare nuove forme di interazione che riguardino non solo le opere e i fruitori, ma anche le opere stesse, nei loro reciproci rapporti. E così emergono in questo progetto vere e proprie energie di ribaltamento. In effetti impiegando in vario modo delle tele adesive sto provvedendo a ottenere una copertura delle linee-immagini originarie, in modo tale da restituire all’osservatore una versione decisamente occultata, una porzione “nascosta” o semi-nascosta dell’insieme, generando quasi un ambiente di segretezza. Impiego inoltre plastiche logorate e tessuti in vario modo manipolati. Si tratta di un’operazione di transizione che anticipa quello che sarà il lavoro successivo, che si intitolerà In lontananza traspirazione di tenebre, in cui l’oscurità sarà vista come una corposa risorsa, come un ambiente da degustare a tutti gli effetti. In entrambi i progetti tenderà a emergere il valore delle risorse interne dell’individuo. Sarà enfatizzato e portato a galla il salto qualitativo- e necessario – tra esteriorità e interiorità nel contesto dell’evoluzione umana. Il tema dell’occultamento, tra l’altro, è strettamente connesso con quello del riconoscimento, soprattutto se ci ritroviamo a osservare le cose da angolazioni molteplici: basti pensare al territorio del dramma e della tragedia, in special modo del passato. Di ciò ci parla ampiamente Aristotele, ma spostandoci più in prossimità dei nostri giorni Kierkegaard in Timore e tremore ci ricorda questa valenza, arrivando anche a raccontarci qualcosa del dramma moderno. Cito una sua frase: «Ovunque si parla di riconoscimento, si tratta eo ipso di un precedente occultamento. Come il riconoscimento diventa al momento distensivo, rilassante, così l’occultamento è il momento di tensione della vita drammatica. Nella tragedia greca l’occultamento (e, perciò come sua conseguenza il riconoscimento) è un resto epico che ha il suo fondamento nel fato nel quale essa ha la sua oscura enigmatica origine». E ancora: «Un figlio uccide il padre, ma solo dopo riesce a sapere ch’è suo padre. Una sorella vuol sacrificare suo fratello, ma solo nel momento decisivo ella riesce a saperlo». La lettura di pagine di autori tragici ci restituirà numerosissimi esempi di tale natura.

Sei fautrice di tecniche di deragliamento e di mobilitazione sensoriale. Nelle tue opere rientra una buona dose di straniamento…

Mi interessa di certo promuovere – attraverso i linguaggi artistici – una fuoriuscita dal pensiero ordinario (e più in generale uno svincolamento dalle trappole dell’automatismo) per favorire una vera e propria intraprendenza dello sguardo. Lo sguardo, nella vita e non solo nell’arte, si ritrova ad avere un ruolo catalizzatore, un’energia potente e utile per generare – se necessario- stravolgimento o sommovimento dell’esistente, con conseguenze particolarmente affascinanti dal punto di vista conoscitivo. Diversi studi sullo straniamento ci ricordano proprio come – per resuscitare la nostra percezione della vita- sia necessario perseguire nuove visioni. Il nostro compito resta pur sempre quello di vigilare sui rischi di restringimento delle esperienze, dal punto di vista sensoriale e anche emotivo.

Parliamo ora di forme simboliche e dell’uso che ne hai voluto fare nel tuo Viaggio nell’entroterra [moviment-azioni pianistiche], che definisci libro-dispositivo.

In Viaggio nell’entroterra vengono offerti  resoconti di interventi musicali originali in cui si determina un connubio tra arte, musica e poesia. Ho costruito il progetto con premurosa flessibilità, ma al contempo con coraggiosa autonomia. I pianoforti abissali, i pianoforti-piantagioni e gli strumenti variamente arricchiti di utensili e oggetti tratti dalla realtà quotidiana non sono altro che avvincenti costruzioni metaforiche. Esse promulgano un nuovo atto conoscitivo. Le installazioni e le “operazioni” pianistiche e propriamente sonore descritte in questo volume sono state da me progettate proprio con il desiderio di dare corpo a forme simboliche. Ci tengo molto al fatto che possa essere conosciuto questo eterogeneo percorso in cui non solo i contenuti sono portatori di istanze sperimentali ma anche l’impianto e l’assetto del libro vero e proprio, che ha trovato una contestualizzazione del tutto a sé stante . Non voglio troppo rivelare i dettagli, ci sarà da scoprirli attraverso una conoscenza diretta delle pagine: in attesa di presentazioni, che vorrei avvenissero soprattutto in forma installativa, chi vorrà potrà sin da ora ordinare la propria copia esclusiva. La costruzione di una libertà nel gesto pianistico e performativo prelude, in ogni caso, a una costruzione di libertà di tipo esistenziale.

Sei interessata a inserire il tuo lavoro in una dimensione internazionale. Ci sono novità in tal senso?

Proprio in questi giorni un mio lavoro è partito in direzione della Spagna, per partecipare alla sesta edizione del Premio Ciudad de Móstoles. Non si tratta della prima esperienza iberica. In anni passati ho infatti avuto due interessanti occasioni di confronto con il pubblico spagnolo di Madrid, di cui conservo un piacevole e intenso ricordo. Mi riferisco a un’esposizione di miei occhialoidi con relativa performance, presso il teatro El Montacargas e a una performance musicale nella Escuela de Musica Creativa. Sono stati tradotti inoltre – in lingua spagnola- diversi miei componimenti poetici e anche, in forma integrale, un testo di teatro musicale. A prescindere dalla Spagna anche in Svizzera, a Lugano, si sta preparando una mia installazione per il mese di gennaio 2022 nella Biblioteca Cantonale. E infine in Canada si chiuderà il 26 settembre 2021 la Biennale de Livres d’artistes, in cui è stata convolta una mia opera.

Stai maturando nuove scelte di tipo performativo e producendo scritti inediti di argomento musicale?

Sono impegnata nella stesura di un testo incentrato sull’uso di tecniche di memorizzazione musicale, sviluppate in assenza di vincoli esclusivi con la scrittura. Si sono conclusi in tal senso alcuni esperimenti e mi farà molto piacere farne conoscere i contorni e i risvolti. Inoltre sto ultimando un breve saggio intitolato Elogio del cinque, in cui le particolarità metriche di alcuni brani musicali e le figure musicali stesse vengono messe in relazione con elementi pittorici di tipo figurale e non. Dal punto di vista propriamente sonoro e performativo tra le mie nuove “traiettorie pianistiche” si ritrova il brano Nuovi slanci pausati ( infiltrazioni in un sogno fotosintetico), che contiene allusioni esplicite ai momenti di respirazione cellulare delle piante. Questa musica è stata concepita specificamente per il libro –radura Cloroplasti. Invito i lettori e le lettrici a rimanere aggiornati per conoscere tutti questi sviluppi.

La tua è una visione umanistica particolarmente ricca di sfaccettature. Facendo un passo in direzione della società quali esigenze o urgenze avverti?

C’è molto da riflettere in questo periodo sul concetto di autorità e dominio. Il mio testo di teatro musicale, precedentemente citato, analizza e marca poeticamente proprio le configurazioni possibili legate all’uso del potere, mettendone in evidenza, in particolar modo, le aberrazioni. Il tutto ruota intorno a due termini interessanti: anelito e responsabilità. Questi due termini continuano a rivelarsi degni attenzione. Tra problematicità e dubbi sulle realtà incombenti mi piace tuttavia pensare che sia possibile continuare a scorgere – e delineare – una fragranza del giorno, che comporti a sua volta un attutimento dei dislivelli e delle spigolature esistenti : è forse plausibile riuscire a individuare fasci di luce anche laddove siano presenti o preponderanti grovigli di varia natura.

Chiudiamo con un excursus rapido tra i tuoi libri. Ricordaci i titoli che li caratterizzano e alcune particolarità.

Plasma, volume di esordio edito da Fermenti è una raccolta poetica che assume via via le fattezze di un libro di regia, al tempo stesso libero e calcolato e che tratta la lingua e le materie di cui si compone in modi magrittiani (sto usando le parole del prefatore. Si trattava in quel caso di Mario Lunetta). In Nuove rapide scosse retiniche,delle edizioni Joker, prendo spunto dai movimenti saccadici che compie l’occhio umano per sviluppare, dal punto di vista costruttivo, una dinamicità febbrile anche di tipo sintattico. In Procedure esfolianti (Manni) il fulcro è dato dal processo di esfoliazione, con riferimento specifico a ogni forma di re-invenzione e di rinascita in senso lato. Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo (Oèdipus) elabora e accoglie il concetto di scansione temporale ipotizzando tuttavia delle presumibili forme di atemporalità. Tra i libri di argomento musicale ricordo volentieri Apparati di suoni metodicamente cruciali (La città e le stelle), in cui descrivo e tratteggio quelli che sono i luoghi di “accensione e tumulto” in riferimento all’arte musicale dell’oggi e prefiguro la necessità di una radicalità in una prospettiva artistica-esperienziale. Universi sonori – Dialoghi sulla musica dei nostri tempi (Nuove Tendenze edizioni) contiene fertili conversazioni con compositrici e compositori della contemporaneità. E così arriviamo a Viaggio nell’entroterra, di cui precedentemente accennavo. Sono in generale attratta dall’idea che tra noi e le pagine possano crearsi veri e propri processi osmotici, interessanti flussi di energie per una regolazione dei nostri assetti mentali e emotivi.

Anna Laura Longo è pianista e indagatrice sonora, artista visiva e autrice poliedrica. Per i suoi progetti di tipo multisensoriale ha coniato la dicitura “arte addizionale “. Presente in festival e rassegne su scala internazionale ha approfondito le derivazioni e la natura composita del gesto (extra-musicale e musicale) facendo guadagnare a volte intensità altre volte un’elegante astrazione alle sue azioni poliedriche, variamente esplicitate attraverso originali forme performative e mediante una prassi costruttiva e al contempo progettuale. Rientrano all’interno di queste traiettorie le opere visuali, le installazioni, le operazioni di scrittura, le vicende sonore e ancora le avvincenti ricerche sul concetto di processualità, spazialità, durata e elogio dell’invisibile.
Per contatti:
annalaura_longo@hotmail.com

Di seguito si riporta un’intervista pubblicata su http://www.agenziastampa.net in data 04/08/2021 nella sezione Arte e Cultura ( le domande sono a cura di AgenziaSistema)

Verso una sensorialità allargata: Anna Laura Longo fautrice di percorsi eterogenei

Musica, arte, scrittura, sono i territori da te esplorati. Proviamo per ciascuna di tali aree di indagine a dare conto delle ricerche in corso. E partiamo anzitutto dalle esperienze pianistiche, dalle indagini sonore che porti avanti…

I risultati delle mie attuali indagini sonore sono racchiusi in un volume apparso a fine luglio 2021 e intitolato Viaggio nell’entroterra / Moviment-azioni pianistiche. Attraverso questo recentissimo lavoro consegno con fiducia ai lettori e ai potenziali ascoltatori diversi resoconti di alcune delle principali azioni e performance musicali a cui mi sono dedicata negli ultimi anni, muovendomi in direzione di una pronuncia (e di una vitalità espressiva) fondamentalmente nuova e per me insondata, caratterizzata da un interesse significativo per la teatralizzazione del gesto musicale. Attraverso la lettura si potrà constatare come tutto sia avvenuto mediante un uso estremamente versatile e libero dello strumento: il pianoforte. Una ridefinizione compatta dei codici legati all’arte interpretativa mi ha infatti indotta a costruire delle vicende sonore allargate e a ipotizzare pratiche immersive di carattere dinamico e multiforme. La forza emancipatrice delle arti, secondo il mio punto di vista, si staglia con evidenza dinanzi al nostro procedere. È richiesto un sottile aggancio e quasi una fluttuazione tra questa forza sotterranea e le nostre esperienze in corso: un rilevamento di tale presenza connettiva spingerà, volta per volta, e inevitabilmente, a ridisegnare traiettorie e significazioni. Queste potranno, a loro volta, indurre a rimodulare, spesso energicamente, l’idea di realtà per guardare ai vissuti con capacità interpretative nuove, riplasmando la concezione del tempo, attraverso infiltrazioni ed attingimenti nella sfera della memoria con proiezioni coraggiose nell’imminente. È in questo scenario e sulla base di tali presupposti che si sono sviluppate le operazioni pianistiche-performative di cui riferisco nelle pagine del libro e che vertono proprio su un criterio di audacia costruttiva e decostruttiva al contempo. Ho cercato di dare maturazione e corposità all’azione offrendo però un immancabile spazio anche a quelle che sono le spirali dell’immaginazione .

Quale desiderio prioritario ti ha accompagnato nell’impostazione di questo progetto?

Le pagine offrono parziali risposte a un desiderio ineludibile, quello di dare una nuova sembianza e connotazione al suono, mediante congiunzioni tra aspetti visuali (puramente installativi) e aspetti sonori veri e propri , per risultati artistici all’insegna dell’eterogeneità. Un buon livello di trepidazione interna si è mosso di pari passo con un’esigenza di poeticità. Il lettore coglierà inevitabilmente una ventata di associazioni e spero possa attraversare i contenuti con passo godibile, ma al contempo con attitudine riflessiva, cogliendo l’importanza –anzi l’imprescindibilità- delle spinte poetiche immesse nell’itinerario creato. l paesaggi acustici, nella contemporaneità, si nutrono di energie legate al molteplice , pertanto le tante ricerche che si muovono nel novero della musicalità e del musicabile non possono non tener conto di ciò. Per questa ragione ho avvertito la necessità di procedere con malleabilità, situandomi  in un divenire per l’appunto non cristallizzato. Una stabilizzazione delle sintassi potrebbe infatti – probabilmente- non rispecchiare   l’andamento fluttuante  dell’esistente. Ci tengo anche a specificare che alcune delle musiche di cui riferisco nel libro-catalogo accompagnano spesso le mie installazioni o mostre bibliografiche.

A proposito di mostre bibliografiche spostiamo l’attenzione sui  tuoi libri d‘artista che, nel corso del tempo, stanno assumendo fattezze insolite, guadagnando corposità e spessore. Sono opere sperimentali, che si fanno portatrici di uno slancio contemporaneo decisamente originale. Alcuni esemplari sono reduci da esposizioni in Francia. In particolare sono stati presentati a Lione durante la Biennale de la Danse e a Pantin nel corso del festival Camping presso il CND (Centre national de la danse) . Descrivici questi lavori e in quali direzioni stai procedendo.

Le due occasioni sono state per me preziose e soprattutto mi hanno permesso di constatare come la collocazione di queste opere all’interno di festival e rassegne di danza e teatro sia particolarmente congeniale. Un precedente tentativo era stato effettuato in collaborazione con l’Association Art e t Culture Fabri de Peiresc ( Haute Provence). La pagina in definitiva si configura come spazio scenico. L’ enfasi data alla dimensione facilita l’innesco di una ricerca di tipo spaziale, per l’appunto. Nel corso di questa estate sto preparandomi inoltre per una partecipazione alla Biennale de Livres d’Artistes  in Québec ( Canada), prevista a fine settembre 2021. È in corso inoltre una collaborazione con l’équipe del Sistema bibliotecario ticinese per l’organizzazione, a Lugano, di un percorso tematico dedicato ad alcune di queste opere. Tuttavia oltre agli impegni esteri sono presente con una certa assiduità anche in Italia e, tanto più, nella mia città. Mi piace a tale proposito ricordare e ringraziare alcuni dei contesti romani che hanno volta per volta ospitato esemplari di miei libri-  organismo, proponendoli in forma installativa o attraverso presentazioni diversificate, in particolare: il Palazzo delle Esposizioni (Scaffale d’Arte PalaExpo), la Libreria e Studio bibliografico Marini, Sinestetica Expo, Leporello Books, la Biblioteca dell’istituto Svizzero. Anche nel mio studio-atelier organizzo di tanto in tanto delle giornate di porte aperte. È successo più volte in occasione della rassegna Il maggio dei Libri o per far conoscere in anteprima lavori inediti. Amo la dimensione intima che può crearsi, la possibilità di conversare e ritrovarsi in uno stato di apertura gioviale e naturale. Non sempre nell’ultimo anno è stato possibile intervenire dal punto di vista performativo, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. Tuttavia non sono mancate occasioni di confronto diretto con il pubblico. Mi piace qui ricordare l’intervento portato presso il Polo culturale Le Clarisse di Grosseto durante la rassegna Arthè a fine anno 2020. Anticipo infine che a settembre 2021 il mio libro-organismo Vision Blanche sarà a Pesaro durante l’Hangartest ( XVIII edizione).

Restando nel campo dell’arte sarà utile fare un riferimento al tuo lavoro di configurazione di installazioni artistiche. Quali collaborazioni hai stabilito di recente?

I materiali sono all’origine dei miei progetti installativi. La morbidezza dei  tessuti ovattati si contrappone alla grintosità e alla magia del ferro, l’ambiguità e l’impermanenza dei materiali organici può affiancarsi all’asetticità dell’ecopelle o degli inserti plastificati. Tutte queste materie divengono liberatrici di forme. Per quanto concerne le collaborazioni recenti sono rientrati in questi giorni dalla  Repubblica Ceca alcuni miei Occhialoidi, reduci da diverse tappe della mostra collettiva Le Porte dell’Aldilà a cura di Susanna Horvatovicova. Nell’ultimo biennio si sono concretizzate collaborazioni anche con la galleria Visioni Altre a Venezia, con mostre ed eventi a cura di Adolfina De Stefani. Sono in generale interessata a seguire i flussi che appartengono alla libertà di un’asimmetria. Ho avviato sperimentazioni sul concetto di decentramento o dislocazione, di mobilità e ribaltamento.

Parliamo ora di ricerche poetiche e, più in generale, della tua dedizione alla parola-suono. Definisci spesso le parole “stati tensori” che possono – o meno – trovare una risoluzione in una sorta di scioglimento. Risale al 2016 la plaquette Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo ( Oèdipus). Sei al lavoro su una nuova silloge? A quali procedimenti di scrittura ti affidi in questo frangente di tempo?

La mia nuova raccolta inedita si intitola Declinazioni del timbro. Anche in poesia il mio desiderio è quello di impossessarmi di una possibile variabile, attuando ora una disintegrazione ora un recupero di codici e stilemi. Tale variabile potrà essere momentaneamente tersa e mostrarsi a tratti anche imprendibile o indecifrabile. Amo spingermi in direzione di una spigolosità della parola, liberando al contempo  delle possibili rotondità. Le procedure poetiche che metto in campo risentono delle mie ricerche sul piano performativo, dove prevale un’attenzione precipua allo svisceramento del tempo, unita a una ricerca sulla significatività del gesto.

Le arti sono in possesso di un formidabile e indiscutibile potenziale energetico. Ciascun linguaggio della contemporaneità, per sua natura, prelude al delinearsi di una modulazione di libertà. Se riuscissimo – anche provvisoriamente – ad entrare nella qualità di tali circuiti, integrando l’esprimibile con l’inesprimibile, facendoci carico del rimbombo così come dell’imponente silenzio del mondo, probabilmente entreremmo in una porzione di “contatto stratosferico” con l’intorno, in un gioco consapevole di conquista dell’istante, attraverso la magia della presenza.

Gettiti di parole e suoniIntervista di Gioia Lomasti ad AnnaLaura Longo  (apparsa su vetrinadelleemozioni.blogspot.com)

A che età hai cominciato a scrivere ?

Il piacere per la scrittura è affiorato e ha preso vita decisamente presto. Amo in genere ricordare alcune “ primordiali “ esperienze di messa a fuoco – si potrebbe dire – delle mie personali possibilità espressive : mi riferisco ad alcuni testi di drammaturgia concepiti e maturati già nel periodo scolastico, all’ interno di percorsi in cui si affiancavano esperienze di recitazione a esperimenti di vera e propria stesura di testi. Testi che poi confluivano in appuntamenti con il pubblico. Emergeva e si delineava già in quelle circostanze una volontà di dedizione, un gusto nel “soffermarsi con cura” all’ interno dei meccanismi e delle dinamiche di scrittura , per dare forma al linguaggio in maniera possibilmente netta nonché personale e inoltre per dare peso e struttura alle idee emergenti attraverso le parole, eleborando scelte puntuali e volenterosamente attente. In parallelo si snodava – diventando saliente – la mia formazione musicale. Risalgono infatti al medesimo periodo alcuni brevi testi plasmati anche in senso sonoro. L’ approdo al verso tuttavia ha richiesto un lungo e lento consolidamento della prassi e più di tutto un’ immersione cruciale nei circuiti dell’ esistenza. 

Come scrivi le tue opere, su carta o sul computer ?

I testi nascono prioritariamente come “ gettiti di parole “, disseminati su carta a mo’ di addensamenti, volutamente caotici e obliqui. Questo lo stato nascente. Il successivo passaggio consiste nell’ estrapolare quei blocchi di parole che più apertamente – o talvolta nascostamente – mi appaiono dotati di una buona fertilità o di un appeal vigoroso, in grado di   tradurre appropriatamente quelle che sono le curve o le linee rette della sensazione vigente.

I testi escono di getto o li elabori ?

Dopo le prime ( e quasi astratte ) stesure segue un calibrato e amabile lavorio, che mira a impreziosire o a sfrondare, a seconda delle circostanze. Impreziosire e sfrondare sono dunque, misteriosamente, gesti ausiliari che facilitano di gran lunga il mio impegno teso a somministrare – sperabilmente – nuove gocce di forza interna a versi che sono stati appunto già delineati. Amo soffermarmi in particolare sull’ aggettivazione, che risponde a un piglio marcatamente avventuroso. Il dosaggio ritmico e l’ interesse per la creazione di immagini di grintosa visionarietà sono due aspetti altrettanto evidenti.

Qual’ è la tua atmosfera ideale per la scrittura ?

Quella che concorre a entrare nei confini di un “giusto respiro”, in una scorrevolezza del sentire così come del pensare. Paragono la scrittura a un abile lavoro di tessitura in cui vige un peculiare andamento, che a sua volta va a generare vive miscele ( ora fluide ora magmatiche ) di stati d’ animo ed energie, e inoltre eterogenei flussi di idee o di puri concetti . La poesia consiste in un’ interessante e costante ESTRAZIONE . 

In una parola che cos’è per te la scrittura?

La scrittura è una possibilità di INCEDERE senza veli o cortecce.

Cosa traspare dai tuoi testi ?

L’ elemento distintivo è dato in realtà dall’ esplicitazione di un criterio componibile del far poesia, o meglio del far arte-poesia . Sono interessata a una migrazione della parola verso il materico, verso il palpabile . Il mio operato è di norma pluridirezionale, non però dispersivo : dalla parola, al suono, al segno, all’ oggetto la mia ipotesi segue e vive di una logica stratificata . Oltre a una proposta di testi poetici specifici quelli che dunque vengono spesso da me azionati sono dispositivi e squarci performativi in cui il pubblico è invitato a immergersi   quasi in “ congegni ruotanti “ dotati di plurime sfaccettature e giustapposizioni, al cui interno si rilevano varchi ma evidentemente anche ombre. Risulta essere soggiacente in tutto ciò una propensione allo scavo, uno slancio per una sagomatura della parola. La parola che cerco mira ad avvolgersi di una ferrea gravità, ma al contempo sceglie di lasciarsi inglobare nei sentori della modernità . Di qui il tentativo di  ricerca per lo più incessante .

Perché secondo te la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?

La poesia presumibilmente affonda in diversi abissi o si accende di diverse luminosità rispetto alla narrativa. Non prevede necessariamente un ancoraggio, piuttosto uno svincolamento dal comune “ star dentro le cose”. È diverso il vento che spira e diversa la temperatura in cui la poesia invita ad incapsularsi. Il lettore spesso fatica ad accogliere tali impulsi . Al contrario ci vorrebbe una volenterosità di scoperta delle risorse e soprattutto delle strepitose varietà e tensioni proprie della scrittura, un’apertura a scandagliarne le sottigliezze, le problematicità, gli snodi simbolici. Non è affatto irrilevante l’importanza della modalità di proposta che dovrebbe essere spigliata e non desueta.

A tuo parere cosa occorre per diventare un bravo scrittore o scrittrice?

Una radicalità compatta che testimoni a sua volta un posizionamento vibrante nei confronti dello stare in vita, anche meramente nel quotidiano   Mi piace pensare che possa esserci una solidità, una pulsante ritmicità che si accompagni ad un’egregia maestria nel trattamento e nella gestione del linguaggio, in sostanza una densa e valida geometria del gesto scrittorio. Non sarà  sufficiente  però un coacervo di abilità, aggiungerei sicuramente l’importanza di quelle necessarie e ampie “fasce di intensità “ possibili . La scrittura degna di rilievo ha in definitiva un suo aroma, un suo peso specifico, tende a differenziarsi e a dare – beneficamente – ” tremore “.

Hai nuovi progetti in cantiere? Puoi svelarci in esclusiva delle news?

Probabilmente bisognerà qui ricordare il mio perseverante e prevalente impegno anche in ambito musicale . Si stanno tratteggiando in questo periodo nuove date, seguendo un desiderio scalpitante di internazionalizzazione della mia prassi musicale. Sono due in particolare i récital di cui sono portatrice ultimamente, in qualità di pianista solista e performer, intitolati rispettivamente : SUONI ICONICI/ Musiche del tempo corrente  e Lunghe le mani sfilate dal suolo. Trattasi di itinerari pianistici per lo più incentrati sulle ricerche sonore del tempo presente . Per quanto concerne la mia indagine sul verso è già in parte stata forgiata una nuova raccolta che attualmente attende una sua necessaria macerazione, prima di andare in stampa . Trovano una buona integrazione anche i miei ulteriori lavori di progettazione e realizzazione di opere di stampo visuale. Nello specifico è in fase di completamento l’ impianto Nelle zone di un invalicabile grano, comprendente molteplici paia di calzature infradito ottenute dalla combustione di fette di pane di disparate misure, indicatrici di malcontento generazional-epocale ( in riferimento proprio ad alcuni testi contenuti nel volume Procedure esfolianti inerenti la tematica del potere).  All’ interno di un paesaggio così variegato il mio compito consiste nel provare ad avvolgere il tutto in un’ unico abbraccio inglobante. A prescindere dai suddetti progetti di costruzione fattiva si muovono però – e si addentrano – nelle mie giornate perlomeno i tentativi di ricavare auspicabili spazi e tempi da consegnare alla purezza della riflessione, allo studio ( e in particolare alla frequentazione assidua con il mio strumento), all’ ascolto, alla lettura , all’ incontro con la natura e con le nutrienti emergenze dell’ arte, alla coltivazione di pregiati silenzi. E si accompagna instancabilmente   l’ impegno per una possibile – e di certo impegnativa – preziosità dei rapporti in generale . Tutto scorre.

Tra poesia e narrativa cosa scegli e perché?

Per entrambe ci saranno sicure zone di accoglienza, secondo un criterio di versatilità. In ogni caso desidero precisare che, in qualità di lettrice, mi ritrovo a contemplare spesso la necessità di effettuare accurate ri-letture, non soltanto letture. Esse offrono intriganti occasioni di affondo e approfondimento, con possibilità di veri e propri disvelamenti.

Elencami i libri che hai pubblicato con titolo e un aggettivo o una parola che li rappresenti.

Plasma . Sottomultipli del Tema “ Ricordo “ ( Fermenti ) ESTERREFATTO

Nuove rapide scosse retiniche ( Joker ) PROPULSORE

Procedure esfolianti  ( Manni ) SEGMENTATO e INTREPIDO

Numerose sono anche le pubblicazioni di miei testi   in antologie, cui si aggiungono   articoli e scritti per riviste e per il web.

Cosa pensi del mondo virtuale rispetto alla promozione dell’ arte? Ritieni che internet sia un valido strumento di visibilità ?

Innegabilmente. C’è da stare all’ erta rispetto al rischio di totale e fagocitante assoggettamento. Sono in genere vigilante rispetto a qualsivoglia forma di monopolio.

Hai un sogno nel cassetto ?

Il mio è un cassetto dove far rientrare nuovi approdi e nuove configurazioni, dove far confortevolmente adagiare il “ tessuto “  delle mie idee, dei miei pensieri. Ma è soprattutto lo spessore e la vicinanza con “ l’ intorno “ che mi sta a cuore.In Procedure esfolianti – con riferimento al mito di Dafne – ipotizzo il realizzarsi di una valida e metaforica esfoliazione. Ebbene anche per me stessa prefiguro dei ciclici e maturanti risvegli. Sono del resto di tanto in tanto  suscettibili di modifiche i nostri assetti e le direzioni dei nostri passi nel mondo. Auguro pertanto anche ai lettori un buon livello di trepidazione e di re-invenzione interna, da coniugare con un serio impegno per una costruzione e accensione di una  personale e vivida realtà.

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