Nei brillanti vortici dell’ascolto

La perfettibilità mozartiana indagata da Alfred Tomatis

di Anna Laura Longo

Inoltrandosi verso la struttura invisibile dell’infrasonoro, Mozart ha tradotto per noi quelle volute di suoni che smuovono dei silenzi apparenti. Ciò che egli esprime entra tangibilmente in noi.”

Sono parole di certo elogiative, tuttavia non è un mero elogio quello che scorre tra le pagine di Perché Mozart? (Ibis edizioni) di Alfred Tomatis, ma una vera e propria motivazione all’ascolto.

 Il volume è stato più volte tradotto e ripubblicato in Italia e all’estero. Il medico e otorinolaringoiatra francese ha provato a mettere in evidenza le connessioni possibili tra suono e mondo, costruendo una teoria medico-scientifica, ma anche filosofica, basata sulla centralità dell’udito.

Sarà quindi utile, a distanza di diverso tempo, tornare a cimentarsi in una rilettura dei principali saggi pubblicati, nella gran parte dei quali aleggia la necessità di addentrarsi nel tempo e nella sfera musicale, attraverso una risonanza con l’universo. Guardando inoltre alla materia sonora come a un qualcosa di mobilitante.

La figura mozartiana emerge con particolare forza nel percorso di Alfred Tomatis e, nel volume su indicato, vengono propriamente spiegate le scelte e le puntuali direzioni di avvicinamento. La musica mozartiana, all’interno di questa visione, è divenuta basilare per una riabilitazione dell’ascolto.

“Il suo strumento non era il piano o il violino, ma l’uomo”. Ci ricorda Tomatis.

“Non è mia intenzione fare di Mozart un essere disincarnato. Fu incarnato e molto. Ma la sua appartenenza al mondo si rivela essere un’appartenenza ad ogni tempo. Benché si sia cristallizzato in un momento, in un luogo, in un istante epicritico in cui tutto ciò doveva veramente accadere”.

L’invito principale consiste nel saper afferrare quel sottile equilibrio “che fa sì che il cosmo canti e l’uomo gli risponda, strutturandosi nelle sue molecole”. Per questa ragione la musica può riguardarci così da vicino. Essa ha tradotto – e continua a saper tradurre- i ritmi eterni sapendoli adattare ai nostri neuroni.

Mozart, da questo punto di vista, si colloca oltre l’identificazione: è stato soprattutto attraversato dall’intuizione. Tomatis nel suo libro produce un fugace accostamento con la figura di Einstein: Mozart e Einstein hanno saputo scoprire il mondo della trasparenza, all’interno del loro essere visionari, nel dialogo con l’infinito.

La visione di Tomatis in ogni caso non è affatto musicologica ma, per l’appunto, motivata da ragioni neurofisiologiche e spiegata attraverso meccanismi di reazione uditiva, cerebrale, corporea.

Il metodo Tomatis è fondamentalmente una tecnica di rieducazione dell’orecchio di tipo sonico-vibrazionale. Essa affida soprattutto all’orecchio destro una funzione direttrice all’interno del circuito audio-vocale.

Tomatis ha studiato come l’ascolto di Mozart possa essere diverso non solamente sul piano musicale, ma in funzione degli effetti neuro-psico-fisiologici innescati. Nei suoi scritti ci parla dunque della profondità delle risposte corporee ai suoni, alle frequenze e ai ritmi. La musica è inquadrata nella sua interezza, vista come portatrice e, soprattutto, responsabile di una grande possibilità di integrazione con l’apparato corporeo.

Il campo di applicazione induce a modificare gradatamente la struttura psicologica per liberarla dai blocchi che ostacolano l’ascolto.

E da questo punto di vista è stato dimostrato come Mozart mobiliti il sistema nervoso affinché sia possibile integrare e “aprire”.

L’orecchio, nel metodo Tomatis,  è guidato nell’ascolto in modo tale che possa diventare capace di eseguire delle discriminazioni frequenziali, ma non è tutto: esso infatti è gradualmente spinto ad adattarsi a un processo  decisamente articolato e soprattutto vitale.

 In Perché Mozart? l’autore ci avverte tuttavia di come l’avvicinamento a un personaggio leggendario renda il discorso non privo di pericoli. Il rischio principale probabilmente può esser quello di costruire una sorta di immagine irreale. Si rivela di certo difficile cogliere la totalità di un’opera, tanto più di un soggetto d’eccezione. Quando Mozart si esprime con la musica tutto ciò che abbozza, che realizza o che tenta, si appella a regole ontologicamente presenti nell’uomo e non alterate dal sociale. Egli sa realizzare la separazione tra essenza e esistenza. Non permette interferenze tra l’invisibile e il concreto.

Il rifugio nell’invisibile avviene in ogni caso senza abbandonare il mondo.

Ci troviamo in contatto con una creatività permanente mista a provvisorietà e imprevedibilità. Ma, poiché analizzare implica la necessità di oggettivare, sarà utile pur sempre stabilire una distanza sufficiente per non avvicinarsi troppo e perdere la visione d‘insieme. E quindi lo scopo sarà quello di provare a fornire a ogni istante una sufficiente focalizzazione sulla globalità dell’opera. Questo il tentativo compiuto da Tomatis dinanzi all’esperienza del compositore salisburghese, definito multiforme e al tempo stesso meravigliosamente compatto.

In Mozart si verifica certamente una trasfigurazione della musica. Essa infatti diviene – anzi si rende-  inafferrabile: non ce ne possiamo impadronire. La direzione, come già detto, è nell’invisibile oltre l’udibile.

Mozart, in quanto promotore di una sorta di avventura iniziatica, è racchiuso dunque nell’involucro umano. La sua creazione può considerarsi incontaminata, è della stessa qualità dei silenzi che cantano in noi. Potrebbe sembrare una semplificazione. Ma non lo è affatto. Nel terreno mozartiano si ritrovano infatti dispiegate abbondanza e varietà, unite a una formidabile capacità di entrare in un ritmo limpido di progressione ideale. E nel gioco di interazioni mozartiane sarà possibile, in parte, ritrovare noi stesse e noi stessi.


Un breve estratto da ” La perfettibilità mozartiana”

Percussioni vive e trascoloranti in Fritz Hauser

di Anna Laura Longo

Un suono saldo, magmatico, proiettivo si ritrova in Fritz Hauser, percussionista e compositore svizzero nato nel 1953.

Le sue sono percussioni vive e trascoloranti, mai prive di fragranza e di libertà espressiva rigenerante. Affidarsi quindi alle “lavorazioni” sonore da lui create vuol dire introdursi, fondamentalmente, in una padronanza calma e multi-sfaccettata, che non disattende mai l’ascoltatore e che conduce, anzi, verso una qualità di rapporto osmotico, che riguarda il suono, il tempo, lo spazio, il silenzio. Un silenzio accarezzato da vivacità o al contrario impreziosito da un alone meditativo. Gli ingredienti messi in campo si uniscono a definire, in ogni caso, un’esperienza sonora ed estetica protesa verso una compattezza e una significanza.

Le caratteristiche appena enunciate sono nell’insieme racchiuse nel CD Spettro, apparso per l’etichetta Neu Records (2020).

Siamo abituati a pensare al suono e al gesto percussivo come a un qualcosa di fragoroso e impattante, ma, evidentemente, esso potrà esistere e delinearsi anche attraverso il sussurro, per poi sfociare in forme di dileguamento. La qualità – nello spegnimento del suono – rientra certo tra le componenti da seguire e ispezionare.

Molte delle esperienze compiute da Fritz Hauser sono per l’appunto intrise di approfondimenti e immersioni nel silenzio: sono pratiche indagatorie tese a scorgere sottigliezze e persino invisibilità.

Di fronte a tali risultati l’ascoltatore non potrà che trovare un variabile assestamento, arrivando a percepire come, in fondo, ogni suono possa emergere come una vera e propria protuberanza, in grado di liberare una risonanza emotiva adeguata. È appropriato, in fin de conti, parlare di emersione a proposito del suono forgiato da Fritz Hauser o, in alternativa, metterlo in relazione con l’immagine di una leggera detonazione.

Il tutto è accompagnato costantemente da un’esigenza di configurazione dello spazio. L’intenzione e l’invenzione sonora, in tal senso, si alleano in direzione di questo parametro al punto che lo spazio stesso, volta per volta, risulta essere re-interrogato e portato a un buon livello di esplicitazione  delle proprie potenzialità e risorse.

Accanto ai récital solistici sono molte le vicinanze stabilite e le sintonie artistiche cercate con linguaggi ulteriori, in primis la danza.

Si potrà qui ricordare la performance realizzata con la danzatrice e coreografa Anna Huber (Umwege), dai toni fortemente astratti e geometrizzanti e dove, più che mai, la componente architettonica si dimostra imperante e influente.

Restando nel novero della speculazione coreografica ma riapprodando all’oggi, si potrà menzionare il DocuFilm trasmesso per Piemonte dal Vivo e in cui Hauser, affiancato dall’ arpista Estelle Costanzo ha avuto modo di rivisitare il suo Schraffer ( Sgraffito ) unendosi agli atti performativi di Marta Ciappina, Silvia Gribaudi, Manfredi Perego, con i danzatori del Balletto Teatro di Torino.

Con Sergio Armaroli, vibrafonista e percussionista, sono stati portati a compimento ulteriori progetti, restituiti anche in veste discografica.

Anche nei lavori collaborativi resta evidente una grande permeabilità nel modo di vivere e affrontare la vicenda sonora, dal punto di vista corporeo e non solo. La morbidezza nella componente gestuale, l’uso fluido del polso o dell’avambraccio, a loro volta sostenuti dalle spalle e dal capo, celano un’interessante fluidità del pensiero.

Non resterà che disporsi in ascolto e perseguire un adeguato inabissamento nella musicalità flessibile – e direi particolarmente tangibile – di Fritz Hauser.

FLUSSI VOCALI EMERGENZIALI

Suggestioni e riflessioni brevi scaturite dall’ascolto di Nuits di Iannis Xenakis

di Anna Laura Longo

In Nuits di Iannis Xenakis dodici voci miste a cappella si apprestano a tracciare solchi indelebili, incidendo profondamente nel nostro immaginario oltreché nei territori uditivi.

Le linee vocali, nell’impianto compositivo predisposto, appaiono magicamente sovrapposte eppure intente a delineare un volume monolitico.

 La scrittura è frutto di un incastonamento pregiato e tende a illuminare musicalmente delle zone temporali di sospensione promuovendo, al contempo, un felice transito di sonorità inaudite e a tratti incompiute.

Nella variabilità delle soluzioni prospettate gli interpreti si costeggiano e ci spingono a scorgere un’invogliante dilatazione delle possibilità espressive ed energetiche.

Il generoso rigoglio sonoro che scaturisce dall’esecuzione può profilarsi da inizio a fine senza mai essere stemperato.

Il risultato è un insieme di flussi vocali emergenziali e compatti, grazie ai quali viene portata a galla la maestria del glissando. Sono dodici le sezioni, di lunghezza ineguale, su cui è impostato il discorso dal punto di vista strutturale.

Per ciascun interprete è stabilita una scrittura ritmica e una tipicità di gioco vocale del tutto peculiare.

Sono certamente un dono i micro-intervalli, i battimenti, i suoni soffiati che rendono possibili degli “avvistamenti” insoliti nel fondale della musicalità.

Il brano fu elaborato durante un soggiorno in USA con dedica ai prigionieri politici greci che si opposero alla presa di potere militare.

La sofferenza dei prigionieri evocati sopraggiunge e si fa strada proprio attraverso la matericità dei suoni vivi, paragonabili a cunei veri e propri, tuttavia sommessi e interiorizzati.

Si impone una buona dose di forza interna nelle micro-involuzioni vocali che si sviluppano con effetti di rimineralizzazione istantanea.

Il punto di vista geometrico convive con l’intraprendenza strutturante. Ed è proprio questa congiuntura a dar luogo a un frastornamento attraente, in cui si fa manifesta un’identità sonora trovata.

Le riflessioni qui proposte sono derivate dall’ascolto del brano nell’ interpretazione di

Neue Vocalisten Stuttgart (Manfred Schreier – conductor)

Il testo è stato redatto in occasione dell’anniversario della nascita del compositore.


Di seguito l’articolo apparso su Fucine Mute Magazine intitolato Xenakis. Un intermediario

Su Iannis Xenakis
Proliferazioni travolgenti in Pierre Boulez ( l’audio fa riferimento a un omonimo articolo pubblicato su L’Age d’Or rivista di Cinema e culture

Nel sussurro perdurante di Éliane Radigue

di Anna Laura Longo

Una musica ondosa, quasi “denudata”, quella di Éliane Radigue, dove un’ interessante estenuazione diviene parte integrante del discorso, in vista di una costante fluidificazione degli elementi minimi, i quali risultano paradossalmente  appariscenti, pur avvalendosi di una natura eterea, quasi scorporizzata.

Viene data, per scelta, un’estensione al suono, continuamente coltivato, in parte anche abbracciato nella sua essenza, che pur sempre rammenta l’eco di un soffio o risucchio primordiale.

Il timbro anticorrosivo si unisce a un tocco di instancabilità (quasi insaziabilità) nella gestione delle durate. È in una tale prospettiva che viene a generarsi un effetto di sottile coibentazione per l’ascoltatore, che risulterà immerso in un sapore e quasi in un sussurro di carattere perdurante.

E così il suono, imbevuto di tali ingredienti, sembrerà sottoposto quasi a inseguimento. Risulterà essere “trasportato”, più che prodotto, dallo strumento che, volta per volta, verrà coinvolto nell’esecuzione, con movimenti e arricchimenti che tenderanno a non ledere l’imperturbabilità e l’avvenenza del gesto minimale.

Tra i titoli da ricordare ritroviamo sicuramente Occam Océan, un ciclo di opere strumentali su cui la compositrice lavora da circa un decennio.  È emblematica la versione orchestrale, ma di questo ciclo esistono diverse versioni per strumenti solisti o ensemble.  

È demandato dunque al tempo l’insaporimento del tessuto sonoro. Ci riferiamo in primis al tempo ineludibile di svolgimento.  E malgrado sembri stanziale questa musica tuttavia si mobilita felicemente proprio situandosi tra accrescimento e spaziosità, garantendo – anzi- alleanze tra le due componenti. Un vero e proprio sconfinamento sonoro che si sviluppa mediante la ricerca di una trascendenza.

La musica di Éliane Radigue è un corpo stabilizzato, capace di incedere con adeguata e sostanziosa lentezza, ma al contempo con sobrietà trasmissiva.

Ogni brano può considerarsi una lunga vicissitudine, che vive in assenza di infiltrazioni e turbamenti esogeni. L’orecchio non dovrà mancare di aver premura, addentrandosi nei circuiti interni, senza smania o pressione, senza esigenze articolatorie di tipo quantitativo.

È per questa ragione che il finale, il più delle volte, sembrerà non infrangersi contro il fondale del silenzio. Più che un vero arresto, esso apparirà come il frutto di un riassorbimento: una fagocitazione attuata o impressa dalla realtà circostante.

 In assenza di nodosità o deviazioni risulterà interessante assistere a una plasmazione di libertà sommesse e propizie.

Una propagazione di stimoli in Yukiko Watanabe (Considerazioni su Curious Chamber Players)

25/08/2021

di Anna Laura Longo

Di Yukiko Watanabe, compositrice giapponese nata nel 1983, è interessante mettere in evidenza le caratteristiche su cui si basa il brano intitolato Curious Chamber Players (2013) concepito per tre percussionisti. Siamo di fronte a un lavoro in cui viene a crearsi un vero e proprio micro-habitat, dove la tensione compositiva va a muoversi di pari passo con una studiata e ponderata appropriazione degli strumenti, con conseguente impiego delle energie spaziali. Parliamo in ogni caso di un’appropriazione di tipo allargato e, più in generale, di un’interpretazione che risulta essere, a tutti gli effetti, imbevuta di situazioni e posture divergenti, tra cui rientra lo scoperchiamento della parte superiore dello strumento e l’uso della voce che fa seguito a un incurvarsi dei corpi all’interno delle percussioni stesse: di qui le imprevedibili azioni generate e lasciate misteriosamente affiorare. E ancora va menzionato l’ausilio di oggetti esterni, vissuti con modalità teatralizzanti, ad esempio un panno – affidato rispettivamente a ciascun performer- e l’interazione con superfici plastificate. La performance si sviluppa mediante un dissezionamento continuo delle componenti strutturali, avvalendosi di imprevedibili gesti che insistono sul mantenimento di posture statiche cariche di pregnanza. L’ambito percussivo in fin dei conti si ritrova ad essere un campo di mediazione: i principi di costruzione vertono principalmente su un criterio di conquista di una porosità dei margini di sviluppo dell’azione stessa e sull’accertamento di un’imprevedibilità – contratta- delle direzioni possibili. Il tutto conduce verso una libera propagazione di stimoli, verso un avviluppo di fluttuazioni minime dei volti, degli arti superiori, dei corpi più generale. In poco più di 4 minuti gli interpreti lasciano scorrere azioni, con spigliate o assorte derivazioni. Affascina la gestione dei piani (alto, basso o intermedio) e l’uso della lateralità, attraverso interscambi e minimi flussi relazionali. La rinuncia a ogni forma di ridondanza contribuisce a mettere in atto un’espressività smilza e ridotta, che non manca tuttavia di perseguire un incantamento. L’insieme è corroborato da una sorta di sapore sinistro, che deposita un interessante strato di ambiguità.

Ariadne e dintorni: suggestioni dal festival ManiFeste di Parigi- edizione 2021

di Anna Laura Longo

13/07/2021

L’ascolto di Ariadne di Maurizio Azzan  (per voce, 5 performers ed elettronica live), immette all’interno di una visione della composizione da concepirsi come ingranaggio. C’è un’ esuberanza implosiva che accompagna il percorso strumentale, nelle cui spire la voce sopraggiunge come un corpo vivo che sembra timbrare volta per volta lo spazio, esercitandosi a coinvolgere gli ascoltatori in imprevedibili apparizioni e scomparse. Il mantenimento di un assetto per lo più anti – declamatorio, rende riconoscibile la tensione espressiva soggiacente. In vari momenti essa viene però ad essere scaldata o corroborata dalle “incorporazioni” elettroniche. Prevalgono di fatto le sezioni che lasciano trapelare urgenza e allarme, modulate mediante un suono di taglio post-industriale, quasi iper-urbano, ma non mancano capsule di riposo e di arrotondamento delle spigolosità affioranti. Il tragitto vive, nel complesso, di interpolazioni vibranti, sostanziandosi in una durata di circa 35 minuti. Si potrebbe sinteticamente parlare di una creazione di arcipelaghi sonori, che si ritrovano ad attivare una manutenzione libera dell’inesausto fascino mitologico, portatore di possibili ascendenze e derivazioni. In un tempo in parte informe o disancorato dal sogno inseguire Arianna potrebbe voler dire inseguire (o dimenticare) se stessi? Le risposte resteranno puntualmente racchiuse o incapsulate nei vortici della musicalità generata e, di fatto, attingibile. Avvicinandosi gradatamente al varco conclusivo di questa composizione si potrà comunque notare come la voce, innalzandosi con generosa asimmetria, tenda ad apparire maggiormente vulnerata e lacerata, quasi volesse restituire un condensato di esperienza vitale, un approfondimento stuporoso del proprio esserci. E la vulnerabilità vocale chissà che non possa procedere di pari passo con la vulnerabilità tipica del nostro (non certo nitido) frammento epocale. Il concerto svoltosi presso il Theatre de Gennevilliers  T2G  il 17 giugno 2021  ha avuto come interpreti la cantante solista Anna Piroli (soprano), l’ensemble Schallfeld, e l’IRCAM per la realizzazione elettronica. Il programma è proseguito con il brano di Rachel Beja intitolato  Frammenti di memoria abolita. Una composizione agile, caratterizzata da integrazioni continue tra aspetti di variabilità e di invariabilità o sospensione, con sorprese uditive per lo più diluite e frammentate – come recita il titolo stesso -nel corso dei 15 minuti di durata. Il brano commissionato da IRCAM – Centre Pompidou e da Divertimento Ensemble ha inoltre ricevuto il supporto di ULYSSES. Ad arricchire il tutto ampie sezioni dedicate a Beat Furrer . Nello specifico è stato predisposto un intervallo nella prima sezione del concerto caratterizzato da Nuun per due pianoforti e ensemble (1996), in cui la vertiginosità intrigante e imbevuta fortemente di modernità viene ad essere supportata da slanci incalzanti di natura percussiva. E a seguire Fama , opera in otto scene del 2004-2005. Il brano conclusivo del concerto- ancora una volta di Beat Furrer- è stato Aria, per soprano e sei strumentiPredominante, in questo caso, l’inarrestabilità e l’impatto scalpitante e davvero dinamico generato dal fluire dei suoni. La voce è tornata ad essere il fulcro, anche da un punto di vista emotivo, apparendo scandagliata e sottilmente indagata mediante un ventaglio di possibilità inesauste, necessarie per sottolineare i momenti di separazione, di liberazione e di solitudine. Tutto sorge infatti da un testo definito dal compositore stesso “lettera d’addio”, da cui si dipana una sovrapposizione di snodi narrativi decisamente ricca ed esaustiva, con un trattamento eterogeneo dei materiali e dei codici compositivi. A partire da frammenti spesso elementari e nitidi, matura infatti , strada facendo, un processo fluido di mutamento, che conduce in direzione di una complessità funzionale  a descrivere la significatività di una  parabola di evoluzione.

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